La luce può far evaporare l'acqua anche in assenza di calore!
In una straordinaria scoperta, un gruppo di ricercatori dimostra l'ubiquità dell'effetto fotomolecolare, con potenziali enormi ripercussioni su climatologia e industria
L’evaporazione è uno dei processi fisici fondamentali e gli esseri umani l’hanno osservato e sfruttato fin dagli albori dei tempi, che si tratti di evaporazione di acqua dalla superficie di mari e laghi, nebbia che si consuma al sole mattutino o essiccazione di stagni salmastri che rilasciano sale grosso.
Ovviamente alla base di tutto c’è il calore, una cosa che si impara fin dalla più tenera età; eppure, pare proprio che per tutto questo tempo siamo stati del tutto ignari di un pezzo fondamentale del puzzle.
Sì perché di recente un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha fatto una scoperta sconvolgente e potenzialmente rivoluzionaria: anche la luce, in assenza di qualsiasi fonte di calore, è in grado di liberare molecole d’acqua dalla superficie liquida e disperderle nell’aria, provocando evaporazione.
Lo so, sembra impossibile, ma il primo aprile è passato da tempo, quindi sospendiamo l’incredulità per il tempo necessario (pochi paragrafi) per andare a esaminare i precisissimi esperimenti che hanno portato a questo imprevedibile risultato e le sue numerose applicazioni pratiche.
L’effetto fotomolecolare alla prova
Può forse aiutare allo scopo sapere che in realtà un effetto del genere, definito come “fotomolecolare”, era già stato osservato e documentato l’anno scorso in uno studio pubblicato, tra gli altri, dal prof. di ingegneria meccanica Gang Chen e dal ricercatore Yaodong Tu, autori anche del nuovo studio assieme al ricercatore Guangxin Lv e al dottorando James Zhang.
In quel caso, però, l’effetto si verificava solo in condizioni estremamente specifiche: sulla superficie di idrogel appositamente preparati, cioè dei particolari gel a base d’acqua che però riescono a restare asciutti anche a temperatura ambiente.
Nei nuovi esperimenti, invece, Chen e colleghi dimostrano che l’idrogel non è necessario e l’effetto si verifica su ogni superficie d’acqua esposta alla luce, che sia piatta o curva, il tutto verificato in ben 14 diversi tipi di test e misurazioni.
Più precisamente, si parla di almeno un paio di indicatori chiave che confermano l’avvenimento dell’effetto fotomolecolare:
mentre l’acqua in un contenitore di test iniziava a evaporare in presenza di luce visibile, la temperatura dell’aria misurata al di sopra della superficie dell’acqua diminuiva per poi stabilizzarsi, dimostrando così che l’energia termica non era la forza scatenante del processo;
l’effetto variava in base all’angolo, al colore e alla polarizzazione della luce (cioè, l’orientamento delle oscillazioni della sua onda). Tali variazioni non dovrebbero presentarsi, in quanto alle lunghezze d’onda del visibile l’acqua assorbe quantità trascurabili di luce.
Scendendo ancora più nel dettaglio per quest’ultimo punto, pare che l’effetto fotomolecolare sia più forte quando la luce colpisce l’acqua a un angolo di 45 gradi e in presenza di un certo tipo di polarizzazione, detta trasversa magnetica, mentre il colore “preferito” è il verde — il che è strano, in quanto è quello col quale l’acqua interagisce di meno (si dice, infatti, che è massimamente trasparente ad esso).
Mentre la dipendenza dal colore resta un completo mistero, i ricercatori credono che quella da angolo e polarizzazione possa essere spiegata col fatto che i fotoni di luce riescono a impartire sulle molecole d’acqua in superficie una forza netta sufficiente a provocarne la scissione dal corpo d’acqua.
Le possibili applicazioni della scoperta
Sebbene ancora agli inizi, gli impatti che questa ricerca potrebbe avere sono enormi, in particolare nel campo della climatologia, in cui esiste un mistero che perdura da ormai 80 anni: in che modo la luce del sole interagisce con le nuvole, che rappresentano l’aspetto più incerto dei modelli climatici.
Infatti, a causa della difficoltà nell’effettuare misurazioni (basate su dati satellitari e di volo, oltre che sulla temperatura degli oceani e il bilancio radiativo) e della complessità delle nuvole, i rilevamenti hanno spesso mostrato che esse assorbono più luce solare di quanta ritenuta possibile dalla fisica convenzionale, inficiando i calcoli sugli effetti del cambiamento climatico su copertura nuvolosa e precipitazioni.
Ora l’evaporazione aggiuntiva provocata dall’effetto fotomolecolare potrebbe finalmente spiegare questa discrepanza: da esperimenti effettuati illuminando con LED una camera a nebbia artificiale è stato difatti rilevato un aumento di temperatura della nebbia, il che non dovrebbe avvenire, in quanto l’acqua (contenuta nella camera sotto forma di vapore) come detto non assorbe luce nel visibile.
Importanti ripercussioni si potrebbero avere anche nel processo industriale della dissalazione delle acque: anche in questo caso, infatti, vengono spesso riportati dei tassi di evaporazione inspiegabili considerando solo l’energia solare utilizzata.
I vantaggi economici sarebbero significativi: con condizioni ottimali di angolo, polarizzazione e colore della luce, il livello di evaporazione misurato è quattro volte superiore (!) al limite termico. Non stupisce, quindi, che Chen e colleghi siano già stati contattati da aziende che lavorano nel campo dell’evaporazione della linfa per produrre sciroppo e del disseccamento della carta.
È questo è solo l’inizio. Secondo gli autori, infatti, l’effetto dovrebbe verificarsi ovunque in natura: nuvole, nebbia, superficie degli oceani, persino terreno e piante. E alle possibili applicazioni pratiche vanno aggiunte perlomeno la produzione di energia e acqua pulita.
Il prossimo che dice che il verde è un colore freddo mi sente!