La vitamina D a supporto delle immunoterapie contro il cancro?
Un recente studio collega vitamina D, microbioma e sistema immunitario, con possibili importanti implicazioni nella lotta contro vari tumori
È ben noto che l’assunzione di vitamina D sia importante per l’essere umano, grazie al supporto che essa fornisce nell’assorbimento del calcio, a sua volta fondamentale per la buona salute di denti e ossa.
Fortunatamente, nella maggior parte dei casi basta poco per raggiungere la “quota giornaliera” di tale nutriente: la semplice esposizione ai raggi solari (in particolare alla componente UVB, cioè il medio ultravioletto) fa sì che la pelle produca vitamina D3, che può eventualmente essere integrata con compresse o alimenti quali tonno e salmone.
Un recente studio rende il tutto ancora più conveniente: test pre-clinici, infatti, suggeriscono che l’assunzione di vitamina D possa influenzare il sistema immunitario e aiutare il corpo a combattere il cancro.
Microbioma, sistema immunitario e tumore
Iniziamo con un po’ di storia recente: negli ultimi anni sta diventando sempre più chiara la connessione tra microbioma intestinale (cioè, l’insieme di batteri, virus e loro habitat in stomaco, colon e intestino), sistema immunitario e tumore.
In particolare, il microbioma potrebbe rivelarsi un fattore importante nel miglioramento dei cosiddetti inibitori dei checkpoint immunitari, un tipo di immunoterapia a base di anticorpi usata nel trattamento di vari tipi di cancro.
Ad esempio, si è scoperto che alcuni ceppi di batteri intestinali nei topi incrementano la risposta anti-tumorale a tali terapie; somministrando invece antibiotici, che danneggiano la flora intestinale, la risposta agli inibitori dei checkpoint risulta ridotta.
Correlazioni simili si sono notate anche in pazienti umani con melanoma (il più pericoloso tumore della pelle), portando a credere che, agendo sul microbioma con supplementi, dieti e simili, sia possibile migliorare l’efficacia delle immunoterapie.
Vitamina D a legare il tutto
E arriviamo finalmente al presente, quando un folto gruppo di ricercatori del Francis Crick Institute (Londra) decide di “gettare nella mischia” la vitamina D, forte del fatto che le stesse cellule immunitarie nell’intestino (tipo T, B e altre) sembrano suggerire una connessione, esprimendo recettori per tale nutriente.
Per di più, la mancanza di vitamina D è tradizionalmente associata a risposte autoimmuni, con il sistema immunitario che si scaglia erroneamente contro cellule e tessuti sani.
Evangelos Giampazolias e colleghi si sono affidati a cavie da laboratorio con bassi livelli di globuline, un tipo di proteine presenti nel sangue; tali topi sembrano infatti possedere più vitamina D nei tessuti rispetto a quelli con valori normali.
Come previsto, dopo aver subito un trapianto di melanoma, le cavie con meno globuline (e più vitamina D) hanno reagito meglio al tumore, attivando più cellule immunitarie T e rispondendo più prontamente a inibitori dei checkpoint.
Il collegamento col microbioma? È presto detto: topi con livelli normali di globuline messi a contatto per un certo tempo con quelli con deficienza o che hanno ricevuto da questi ultimi un trapianto fecale di microorganismi hanno mostrato anch’essi una maggiore resistenza al melanoma.
Pazienti umani e prospettive future
Ma i ricercatori non si sono certo fermati qui: per validare ulteriormente l’importanza della vitamina D nel meccanismo, hanno dato in pasto a tutte le cavie cibi privi di tale nutriente per quattro settimane, col risultato che il tumore è rapidamente avanzato indipendentemente dal livello delle globuline.
Giampazolias e colleghi hanno poi provveduto ad analizzare dati preesistenti riguardo pazienti umani con varie tipologie di cancro, attingendo al Cancer Genome Atlas: in generale, una minore espressione genetica di attività collegata alla vitamina D implica minore successo nella lotta contro la malattia.
Più nello specifico, un’analisi su oltre un migliaio di pazienti sottoposti a inibitori dei checkpoint ha evidenziato una correlazione tra bassi livelli di vitamina D nei tessuti e più rapida progressione del tumore.
Infine, un’ulteriore analisi dei dati di persone a cui è stato successivamente diagnosticato un cancro ha mostrato un aumento del rischio di ammalarsi entro dieci anni per quelli con bassi livelli di vitamina D nel sangue.
Insomma, chiaramente serviranno ulteriori test, soprattutto su pazienti umani, ma se la connessione tra la vitamina D e la risposta anti-tumorale dell’organismo fosse confermata, abbinare un semplice cambio di dieta a immunoterapie a base di anticorpi potrebbe risultare decisivo per il successo delle cure.
Sembra troppo bello e facile per essere vero (anche se sarebbe da abbinare ad altre terapie, non "facili". Sembra comunque un passo avanti). Speriamo bene.