L'agricoltura andrebbe in sofferenza senza i lombrichi
Con rese pari a quelle dei maggiori produttori al mondo, questi umili vermi si rivelano fondamentali per la sopravvivenza di milioni di persone
Se qualcuno vi chiedesse: “Chi è che produce il 6,5% dei grani e il 2,3% dei legumi al mondo?”, probabilmente rispondereste citando una delle superpotenze come Cina, Russia, India o Stati Uniti. La risposta esatta, in realtà, è molto più terra-terra, nel senso letterale del termine: i lombrichi.
Per aumentare la vostra sorpresa, mettiamo le cose in prospettiva: i dati di cui sopra corrispondono a 140 milioni di tonnellate annue di cibo, cioè approssimativamente la produzione cerealicola (non solo grani, quindi) annuale della Russia, che è il quarto produttore mondiale di cereali.
A questo punto starete pensando di essere vittime di uno scherzo e onestamente non avreste tutti i torti, se non fosse che tutto quanto detto finora è il risultato di uno studio di scienziati della Colorado State University (CSU), pubblicato nella prestigiosa rivista Nature Communications.
Non resta quindi che fare un bel respiro e andare a vedere in che modo questi umili vermi sono in grado di ottenere tali invidiabili rese.
Perché i lombrichi sono così preziosi
I lombrichi sono anche soprannominati gli “ingegneri del terreno” e il nomignolo è assolutamente meritato, per il loro inestimabile contributo all’arricchimento del suolo e alla crescita delle piante. Essi infatti, tra le altre cose:
contribuiscono a smuovere e aerare il terreno, oltre a favorirne la ritenzione idrica, grazie alle loro estensive opere di scavo di buche e canali;
facilitano la decomposizione della materia organica, mangiandola e riducendola a brandelli, di cui funghi e batteri possono a loro volta cibarsi, rilasciandone i nutrienti;
producono ormoni che favoriscono lo sviluppo delle piante e forniscono una difesa contro malattie comuni provenienti dal terreno, per un aumento della produttività fino a un incredibile 25%.
Tutto ciò era generalmente già noto, ma ora per la prima volta si hanno dati concreti in merito, grazie allo studio diretto da Steven Fonte, professore associato di ecologia dell’agroecosistema presso la suddetta CSU.
I risultati, che andremo ora a esaminare, sono frutto della meticolosa mappatura e analisi di dati mondiali riguardo l’abbondanza di lombrichi, le proprietà dei terreni (tipologia e pH), le percentuali d’uso di fertilizzanti e ovviamente le rese dei raccolti.
Un’importante alternativa all’agricoltura intensiva
Lo studio mette in luce l’evidente contributo dei lombrichi nella produzione di grani, in particolare nel sud del mondo. Nel dettaglio, i ricercatori si sono concentrati in particolare sull’apporto dei vermi alla produzione di riso, mais, frumento e orzo, senza però trascurare legumi come soia, piselli, ceci, lenticchie ed erba medica.
I risultati sono sorprendenti: ben il 10% delle rese di grani nell’Africa sub-sahariana e l’8% nell’America Latina e nei Caraibi, oltre al 3,2% e 3,1% (rispettivamente) per quanto riguarda i legumi, pare essere merito dell’attività dei lombrichi. I dati inferiori sui legumi erano prevedibili, dato che essi sono noti per essere in grado di produrre da soli i propri nutrienti, come l’azoto.
Fonte ritiene che questi valori estremamente elevati siano da attribuire al pH più basso e al maggior contenuto di argilla nei terreni, ma soprattutto all’accesso limitato a fertilizzanti e pesticidi da parte degli agricoltori in queste aree.
Gli effetti dell’attività dei lombrichi sono inoltre significativi in Europa e nell’Asia dell’Est/Sudest, dove si attestano intorno al 7,4% della produzione di grani, il che è dovuto principalmente alla loro abbondanza e al basso pH dei terreni.
Valutazione dello studio e considerazioni finali
Lo studio del gruppo di Fonte, per quanto rivoluzionario, rappresenta solo un punto di partenza: i ricercatori, infatti, mettono in guardia contro possibili imprecisioni dovute alla scarsità e talvolta approssimazione dei dati di partenza; inoltre altri organismi, potenzialmente anche più influenti dei lombrichi, potrebbero essere ancora nascosti ai nostri occhi, in particolare nell’ambito di comunità microbiche.
È importante sottolineare come Fonte non suggerisca l’introduzione dei lombrichi in territori in cui essi scarseggiano (il che potrebbe avere conseguenze ecologiche indesiderate), quanto piuttosto di migliorare la gestione dei terreni in cui i lombrichi sono già presenti naturalmente, in modo da supportarne l’ecosistema e ridurre la dipendenza da fertilizzanti.
Insomma, in quest’epoca di rapidi cambiamenti ambientali, spesso per il peggio, comprendere e sfruttare a fondo i processi naturali potrebbe rappresentare la chiave di volta per un’agricoltura più sostenibile, in grado di sfamare milioni di persone.
Per ora, come fa notare The Brighter Side of News, i bistrattati lombrichi ci hanno indicato la strada da seguire, da veri e propri eroi dimenticati nel sistema di produzione mondiale del cibo.