Come nascondere immagini in bella vista tramite correlazioni quantistiche
Ricercatori sfruttano l'entanglement di due fotoni per codificare nelle loro correlazioni spaziali un'immagine invisibile alle fotocamere standard
Uno dei pilastri della meccanica quantistica è il cosiddetto entanglement (o correlazione quantistica), un fenomeno in base al quale in particolari condizioni due o più particelle si ritrovano ad essere correlate tra loro in un modo tale che neanche separarle di anni luce (!) riesce ad estricare.
Se ciò può sembrare impossibile, niente paura: siamo in buona compagnia, in quanto persino Einstein considerava la cosa inaccettabile, tanto da definirla in maniera colorita “spooky action at a distance” (azione spettrale a distanza).
Eppure, per buona pace del geniale fisico, l’entanglement è un fenomeno ampiamente dimostrato da esperimenti e anche sfruttato praticamente in applicazioni quali la crittografia e i computer quantistici.
Ora un duo di ricercatori francesi “minaccia” di aggiungere una nuova (applic)azione spettrale alla lista, creando tramite fotoni correlati immagini che, pur essendo in bella vista, nessuna normale fotocamera è in grado di vedere.
L’esperimento spettrale in azione
Ma partiamo dalle basi: come si fa a creare una correlazione tra due particelle di luce? Una possibilità (e quella che ci interessa in questo caso) è usare la cosiddetta conversione parametrica spontanea (spontaneous parametric down-conversion o SPDC, in inglese).
Prendete un laser blu e sparate un fotone ad alta energia verso un cristallo non lineare, cioè un particolare materiale che è in grado di cambiare alcune proprietà della luce, quali frequenza (in pratica, colore), fase e polarizzazione: in particolare, nel caso della SPDC, il fotone viene scisso in due fotoni correlati ad energia più bassa.
Fin qui tutto già noto, ma questa è solo la base di partenza per l’apparato sperimentale costruito dal duo di ricercatori nel campo dell’ottica quantistica Hugo Defienne e Chloé Vernière, presso l’Institut Des Nanosciences De Paris, Cnrs, Sorbonne University.
Come si può vedere dallo schema sopra (parte a), la luce del laser illumina un oggetto (punti bonus per aver scelto allo scopo la silhouette di un gatto), la cui immagine viene proiettata tramite una lente sul cristallo non lineare; grazie a quest’ultimo avviene l’azione spettrale e solo le coppie di fotoni correlati raggiungono la fotocamera dall’altra parte, proiettati tramite un’altra lente.
Ciò che avviene dopo è, se possibile, ancora più spettrale: la fotocamera registra solo un’intensità luminosa uniforme (parte b dello schema), mentre il nostro gatto è praticamente scomparso. Non c’è di che preoccuparsi, però: il felino si è solo nascosto nelle correlazioni quantistiche tra i fotoni in entanglement.
Correlazioni spaziali e coincidenze di fotoni
Ma cosa sono esattamente queste correlazioni di cui stiamo parlando da un po’? Nel caso dei fotoni, si tratta essenzialmente di correlazioni spaziali: un singolo fotone può muoversi in tre direzioni indipendenti (i classici assi cartesiani x, y e z), ma per due o più fotoni in entanglement queste possibilità di moto (tecnicamente dette gradi di libertà, dall’inglese degrees of freedom) sono strettamente correlate.
Ad esempio, se abbiamo messo in entanglement due fotoni per quanto riguarda gli assi x e y, non c’è modo di sapere qual è la direzione di uno dei due prima di osservarla (ogni fotone si muove in entrambe le direzioni contemporaneamente!), ma nel momento in cui misuriamo un fotone possiamo essere certi che l’altro si sta muovendo nell'altra direzione.
Defienne e Vernière hanno tenuto conto di questo bizzarro fenomeno quando hanno creato degli algoritmi per rilevare coincidenze di fotoni, cioè eventi in cui coppie di fotoni correlati arrivano contemporaneamente a una fotocamera (quella usata per l’esperimento è un tipo particolare, estremamente sensibile).
Analizzando tali coincidenze, i ricercatori sono stati in grado di ricostruire l’immagine originale, basandosi sulle correlazioni spaziali tra le coppie di fotoni: diamo, quindi, il bentornato al nostro gatto (parte c dello schema)!
Immagini quantistiche proiettate nel futuro
Come si può notare, si tratta di un approccio quantistico (cioè, che sfrutta proprietà quantistiche della luce) alla produzione di immagini, che è decisamente diverso da quello classico (in cui vengono contati i singoli fotoni), del tutto inadeguato a ricostruire immagini nascoste nelle correlazioni spaziali tra coppie di fotoni.
Stranezze spettrali a parte, si tratta di un nuovo metodo molto flessibile e relativamente semplice in quanto a design degli esperimenti, il che lo rende promettente per applicazioni pratiche.
Oltre infatti a quelle tipiche di sicurezza nelle comunicazioni quantistiche, si parla anche di produzione di immagini attraverso sostanze note per la loro capacità di sparpagliare la luce, come nebbia o tessuti biologici (c’entra l’indice di rifrazione, di cui ho parlato qui): la luce quantistica, infatti, è più forte e resistente di quella classica.
Ma i ricercatori non sono ancora soddisfatti: il prossimo passo in programma è verificare se, controllando le proprietà del cristallo e del laser, sia possibile codificare più immagini (di gatti, ovviamente!) in un singolo fascio di fotoni correlati.