Il cambiamento climatico mette a rischio la fotosintesi marina
Paramecium bursaria e Chlorella si separano all'alzarsi delle temperature, potenzialmente compromettendo interi ecosistemi
La stragrande maggioranza dei climatologi (con la minoranza spesso “influenzata” da interessi poco scientifici) mette in guardia da anni contro il cambiamento climatico in corso e i suoi drammatici effetti sulla vita sulla Terra, se l’umanità non si impegna subito a cercare di porvi rimedio.
Uno degli scenari peggiori prevede un innalzamento delle temperature di circa cinque gradi entro la fine del secolo, il che ovviamente avrebbe conseguenze devastanti e ben visibili a occhio nudo.
Esistono, però, anche situazioni molto problematiche a livello microscopico, che non per questo vanno considerate meno gravi, in quanto hanno la capacità di scatenare un vero e proprio effetto domino che può impattare interi ecosistemi, compresi quelli macroscopici.
Un esempio è quello della fotosimbiosi, una relazione mutuamente benefica tra due organismi, alla quale si deve circa la metà della fotosintesi marina: ebbene, secondo un recente studio, un aumento delle temperature di cinque gradi determina la rottura della simbiosi, con perdita totale degli effetti fotosintetici.
Generazioni di coralli
Nelle famose barriere coralline, che costituiscono uno degli ecosistemi più variegati sulla Terra, i coralli responsabili della loro “costruzione” vivono in rapporto simbiotico con altri organismi, come le zooxanthellae: i primi forniscono protezione, mentre i secondi producono nutrienti tramite la fotosintesi.
Negli ultimi anni, però, si è assistito sempre più spesso a importanti casi di bleaching (traducibile come candeggio o sbiancamento), in cui i coralli hanno espulso senza troppi complimenti i loro partner (lasciandoli a forte rischio di stress e mortalità), solitamente a causa delle alte temperature.
La cosa ovviamente è allarmante, ma si tratta pur sempre di reazioni immediate, nel breve termine, a un cambiamento di condizioni; il Dr. Ben Makin dell’Environment and Sustainability Institute presso l’Università di Exeter (Inghilterra) e il suo collega Chris D. Lowe volevano invece esaminare il fenomeno nel corso di varie generazioni.
C’è però un problema, che ha fatto sì che gli effetti evolutivi dovuti alle alte temperature in casi del genere siano rimasti finora praticamente ignoti: i soggetti implicati crescono di solito piuttosto lentamente e quindi sono difficili da studiare.
P. bursaria e Chlorella: una coppia a rischio
Paramecium bursaria è un organismo unicellulare capace di assorbire e “ospitare” alghe del genere Chlorella, in un rapporto (foto)simbiotico piuttosto comune nei corsi d'acqua dolce.
Ai fini sperimentali, esse hanno il vantaggio di avere una vita breve: Makin e Lowe le hanno quindi scelte per i loro test ad alte temperature, in modo da avere la possibilità di osservarne il comportamento su più generazioni.
Più precisamente, un gruppo di controllo è stato tenuto in laboratorio a 25° (una temperatura realistica per quando vivono in natura), mentre altri due gruppi sono stati tenuti rispettivamente a 20° e 30° per un periodo di 295 giorni.
Mentre in caso di raffreddamento non si sono verificate modifiche sostanziali, il riscaldamento di cinque gradi ha determinato invece cambiamenti drastici nella relazione simbiotica, nel breve ma anche nel lungo termine.
Associazione parassitaria
Nel corso delle generazioni, infatti, sia la fotosintesi netta che l'efficienza nell'uso del carbonio (cioè, la percentuale di carbonio fotosintetico disponibile per la crescita) si sono rapidamente e drammaticamente ridotte a zero.
In pratica, l'associazione tra i due organismi da simbiotica si è andata trasformando in parassitaria, con possibilità di sfruttamento o danneggiamento del compagno (difatti solo alcune delle alghe sono rimaste nella cellula che le ospitava).
Perlomeno le due specie sono riuscite a evolversi innalzando il proprio optimum termico per il tasso di crescita (cioè, la temperatura ideale per la riproduzione), ma ciò non è bastato a salvare la loro relazione, anche perché molte delle Chlorella hanno iniziato a sfruttare l'azoto inorganico presente nell'acqua, invece che quello organico messo a disposizione dalla P. bursaria.
La speranza è che in natura l'evoluzione riesca a “dare una mano” almeno ad alcune altre specie fotosimbiotiche, ma purtroppo al momento il dato di fatto è che i rapidi cambiamenti ambientali causati dall'uomo sono in grado di colpire duramente tali fruttuose associazioni e, di conseguenza, gli ecosistemi che fanno affidamento su di esse.