Le onde gravitazionali, nuovi occhi sul cosmo (prima parte)
Teorizzate da Einstein nel 1916, ci è voluto un secolo per rilevarle, ma le onde gravitazionali hanno rivoluzionato per sempre la nostra visione dell'universo
Questa settimana ho il piacere di ospitare sul blog l’ottimo Emiliano Girina, che ha già di recente contribuito alla stesura dell’articolo sui crateri nel Sistema Solare. Stavolta Emiliano ha scritto di suo pugno un avvincente excursus sulle onde gravitazionali, a partire dalla loro teorizzazione fino ai giorni nostri, di cui sotto trovate la prima parte. Buona lettura!
Perché ci interessano le onde gravitazionali (di seguito GW dall’inglese Gravitational Waves)? Cosa hanno da offrire alla ricerca e alla conoscenza? Chi le ipotizzò, come siamo riusciti a misurarle e che cosa ci aspettiamo dal futuro di questo ramo della ricerca?
14 Settembre 2015, questa è la data in cui i ricercatori hanno visto per la prima volta il mondo con un tipo particolare di nuovi occhi. Occhi particolari che, a differenza delle tante varianti che già utilizzavamo, non sono sensibili ad un particolare “tipo” di luce, ma vedono invece la trama stessa dell’universo: il tessuto spaziotemporale e le sue increspature o onde gravitazionali.
Più precisamente un’onda gravitazionale è un’onda di quadrupolo che si propaga nello spaziotempo alla velocità della causalità che coincide con la velocità della luce “nel vuoto”; la famosa C di E=MC2. Per questa ragione le GW sono sempre e solo onde trasversali alla direzione di propagazione. Ricordiamo che C è una velocità limite nel nostro universo.
Una GW è una perturbazione dello spaziotempo causata da masse in movimento, ma essendo lo spaziotempo ciò che di più rigido si conosca, per perturbarlo in modo significativo servono oggetti con masse enormi rispetto alla scala umana. Oggetti con masse misurabili in masse solari (simbolo M ☉), come stelle di neutroni o buchi neri.
Ma perché le GW? Cosa ha motivato la ricerca in tal senso? E perché “occhi nuovi” sul cosmo?
Dalle osservazioni a occhio nudo alle onde gravitazionali
Ogni volta che abbiamo visto il mondo con occhi nuovi siamo riusciti a rispondere a quesiti aperti, ma soprattutto abbiamo scoperto molti “unknown unknowns”, i quali sono una manna per i ricercatori perché stimolano domande nuove e svelano fenomeni sconosciuti e inaspettati, che richiedono o la formulazione di nuove teorie o che si aggiustino quelle esistenti perfezionandone i modelli.
Sin dalla preistoria gli umani hanno scrutato il firmamento, mi piace immaginare, sia con meraviglia e curiosità per le sue regolarità celate da un caos apparente, che con genuino interesse utilitaristico perché quelle regolarità erano i primi fenomeni che permettevano di misurare il tempo e, ancora più importante, predire i fenomeni stagionali quali migrazioni di animali, fioriture spontanee, meteo e, successivamente, i tempi dell’agricoltura.
Col tempo e grazie all’ingegno e alla serendipità si riuscì ad osservare il mondo con strumenti che superavano o miglioravano i nostri limitati sensi: prima strumenti atti alla mera misurazione degli angoli, poi i primi telescopi (si pensi a Galileo) in banda ottica, fino a strumenti che pian piano hanno svelato ai nostri sensi altre frequenze dello spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi gamma.
Le onde (elettromagnetiche) di frequenza più bassa e quindi di maggiore lunghezza d’onda hanno il vantaggio di non essere assorbite dalle polveri. Agli astronomi piace chiamare le “cose” con nomi che hanno un significato particolare solo per loro, per cui queste polveri NON hanno nulla a che fare con la polvere meteorica o domestica con la quale abbiamo familiarità. Avremo modo più avanti di tornare su questo curioso argomento.
Dall’altro lato dello spettro visibile vi sono le alte frequenza (corte lunghezze d’onda) che ci mostrano i fenomeni più energetici dell’universo quali gamma ray burst (GRB), active galactic nucleus (AGN), dischi di accrescimento dei buchi neri (di seguito BH dall’inglese Black Hole) et similia. Ma la radiazione elettromagnetica inevitabilmente viene non solo attenuata dalla distanza (la sua intensità decresce col quadrato delle distanza dalla fonte), ma anche assorbita, deflessa, rifratta et cetera, ma soprattutto viene attenuata e bloccata dalla materia.
Le GW hanno una particolare proprietà, che le distingue dalle onde elettromagnetiche e le rende al contempo uniche e preziose, e cioè il fatto di non essere attenuate dalla materia. Non importa quanta materia abbiano attraversato prima di raggiungerci, perché per loro vale sempre il rapporto col reciproco del quadrato della distanza, ma la materia è assolutamente trasparente ad esse.
Per questa ragione esse possono aprirci una finestra per guardare fenomeni altrimenti nascosti o che non emettono significativamente in onde elettromagnetiche. Vedremo più avanti a cosa mi riferisco.
Un po’ di storia delle onde gravitazionali
Le GW furono teorizzate da Albert Einstein nel 1916 in seno alla teoria della relatività generale (di seguito GR dall’inglese General Relativity). Lo stesso Einstein però riteneva assai poco probabile che si potesse un giorno essere in grado di rilevarne il passaggio, in quanto le quantità in gioco erano estremamente piccole. Ciononostante i tentativi non mancarono.
Nel 1968 fu il turno di Weber e dell’esperimento che poi prese il nome di barra di Weber. Al tempo l’esistenza delle GW non era ancora ampiamente accettata e non pochi le ritenevano una mera predizione matematica senza una reale controparte fisica. I risultati degli esperimenti di Weber furono però in seguito confutati.
Il problema principale risiede nel fatto che si voleva accedere ad un fenomeno che si manifesta con un’ampiezza di circa 10-21 metri, cioè un millesimo di miliardesimo di miliardesimo di metro. Per confronto, un nucleo atomico ha un diametro dell’ordine dei 10-15 metri, e cioè 6 ordini di grandezza o un milione di volte più ampio. Mica poco.
È facile capire che, a meno di riuscire a progettare e costruire uno strumento tanto sensibile, la più ridicolmente minuscola perturbazione avrebbe inficiato qualunque misura. Ma non ci si arrese.
Fu poi il turno delle antenne a massa risonante, come l’esperimento MiniGrail e altri in giro per il mondo, Italia compresa. Nel belpaese vi era un apparato sperimentale presso l’INFN di Genova. Ma ancora non si arrivò a nulla di conclusivo.
La vera svolta fu l’avvento degli interferometri laser e nello specifico i nostri protagonisti LIGO e VIRGO. Se degli altri esperimenti ho evitato di soffermarmi sulle specifiche tecniche, altrettanto non posso fare con queste due meraviglie della tecnica che, seppur “semplici” dal punto di vista concettuale, sono lo stato dell’arte per quanto riguarda l’ingegneria.
Le basi dell’interferometria
Degli ingegneri si son dette tante cose e l’internet straborda di meme e barzellette su di loro. Nel campo delle costruzioni si dice: “Any idiot can build a bridge that stands, but it takes an engineer to build a bridge that barely stands”, che suona come uno scherno, ma in realtà è un complimento. Io stesso ho studiato costruzioni. Fondamentalmente un ingegnere è quella figura professionale (non ditelo ad un fisico) che deve trovare un modo di trasformare la fantascienza dei fisici teorici in scienza, e non è cosa da poco.
Partiamo dalle basi, chiedendoci: “cosa è un interferometro laser?”. Un interferometro è una macchina che sfrutta l’interferenza delle onde e nel nostro caso di quelle elettromagnetiche. Due o più onde che occupano lo stesso punto dello spazio possono interferire sommando le loro ampiezze. Questa somma può essere costruttiva o distruttiva.
In figura, l’onda rossa è ciò che risulta dalla somma delle onde blu e verde. Si nota che quando le due onde originarie sono in fase le loro ampiezze si sommano, mentre quando sono in controfase esse si sottraggono.
E questo è tutto, per il momento. Nella seconda parte, approfondiremo il funzionamento degli interferometri e parleremo della scoperta delle prime onde gravitazionali.
Siate curiosi e a presto.
Emiliano Girina
Sono un adulto che ha mantenuto la curiosità di quando era bambino. Appassionato di scienza in generale ma soprattutto di scienze astronomiche sin dalla piccola età, forse anche per la fortuna di essere nato e cresciuto sotto uno dei cieli più bui d'Italia. Purtroppo non ho mai realizzato il sogno di bambino e cioè di poter studiare astronomia. Sono introverso e mi giudico un razionalista. Ora vivo e lavoro all'estero.