Perché il cielo è buio di notte?
Questa domanda ingannevolmente banale ha richiesto più di un secolo per trovare risposta, e permangono ancora dubbi in merito
A volte ci si imbatte in domande apparentemente semplici, salvo accorgersi, dopo più attenta riflessione, che la risposta non è così scontata come ci si aspetterebbe.
Una di queste è sicuramente quella del titolo di questo articolo: perché il cielo è buio di notte? La risposta che viene comunemente data è che il Sole non è visibile di notte.
Ciò è indubbiamente vero, ma sappiamo anche che nell’universo esiste un numero pressoché infinito di stelle; di conseguenza, dovunque guardiamo, dovremmo vederne la luce.
Se vi sentite improvvisamente confusi e meravigliati, niente paura: siete in buona compagnia. Infatti, gli astronomi hanno impiegato più di cento anni per rispondere a questa “semplice” domanda… e ci sono ancora dubbi che la risposta sia corretta.
Il paradosso di Olbers
Correva l’anno 1823 quando l’astronomo amatoriale tedesco Heinrich Olbers realizzò che il cielo avrebbe dovuto essere tanto luminoso di notte quanto di giorno.
Questa intuizione, nota come paradosso di Olbers, si collegava al fatto che all’epoca si riteneva che l’universo fosse infinito, e che quindi contenesse un numero infinito di stelle.
Allo stesso modo in cui in una foresta il nostro sguardo finisce sempre per posarsi su un albero, non c’è alcuna possibilità di sottrarsi alla luce accecante di una stella, che sia giorno o notte.
Olbers provò a spiegare il paradosso avanzando l’ipotesi che la luce proveniente da stelle distanti fosse assorbita da polvere o altri materiali presenti nello spazio, prima di giungere a noi.
Tale soluzione fu però smentita nel 1831 dall’astronomo inglese John Herschel: qualsiasi sostanza che assorba così tanta luce dovrebbe infatti surriscaldarsi, tanto da brillare essa stessa.
Le riflessioni di Edgar Allan Poe
Non sempre le risposte a quesiti scientifici vengono date da persone di scienza. Nel 1848, infatti, fu il famoso scrittore e poeta americano Edgar Allan Poe a cimentarsi nell’impresa.
In un discorso pubblico a metà tra metafisica e scienza, Poe affermò che il cosmo era emerso da un singolo stato della materia (che chiamò “Oneness”, cioè Unità), che si sarebbe poi frammentato e disperso sotto l’azione di una forza repulsiva.
Ciò implicava che l’universo non fosse infinito e contenesse un numero di stelle relativamente ridotto: ecco perché il cielo era buio di notte.
Ma anche assumendo che l’universo fosse infinito, aggiunse Poe, esso avrebbe comunque dovuto avere un inizio; e poiché la luce ci mette un certo tempo per raggiungerci, ciò limiterebbe comunque la “quantità” di universo (e quindi di stelle) a noi visibile.
Poe non ottenne però il successo sperato col suo discorso e il poema in prosa Eureka, nel quale pubblicò le sue teorie, ebbe scarsa diffusione.
La soluzione del paradosso con colpo di scena
Come riporta The Conversation, ci volle più di un secolo perché qualcuno trovasse una risposta apparentemente definitiva al paradosso di Olbers.
Nel 1964, infatti, il cosmologo britannico Edward Harrison mostrò come le intuizioni di Poe (e quelle poco note del fisico britannico Lord Kelvin a inizio secolo) fossero sostanzialmente corrette.
Ciò che rende il cielo buio di notte è il fatto che le stelle, pur incredibilmente numerose, non sono infinite e non brillano per sempre; questo, unito alle dimensioni gigantesche dello spazio, fa sì che l’oscurità si manifesti tra una stella e l’altra.
Ma c’è anche un’altra possibile spiegazione: che il paradosso in realtà non esista e il cielo notturno non sia poi così buio.
Difatti, oggigiorno si sa che l’universo è debolmente illuminato da ben due fonti:
la radiazione cosmica di fondo, cioè la “luce fossile” rilasciata durante l’alba cosmica;
un fondo ancora più fioco di luce ultravioletta, visibile e infrarossa, prodotta durante la formazione ed evoluzione delle galassie.
Inoltre, come un buon thriller giudiziario, nel 2022 il caso Olbers sembra improvvisamente riaprirsi: la sonda New Horizon, infatti, ha scoperto che il cielo è due volte più luminoso di quanto previsto da osservazioni e simulazioni.
Insomma, alla veneranda età di 200 anni dalla sua formulazione più famosa, la domanda sull’oscurità del cielo notturno non sembra voler andare ancora in pensione.
io sapevo che il cielo è buio perché l'universo è in espansione ad una velocità superiore a quella della luce e quindi soltanto la luce delle stelle piu' vicine ha fatto in tempo ad arrivare da noi. Col tempo il cielo sarà totalmente scuro!