Phaethon, l'asteroide che si crede una cometa
Un recente studio conferma finalmente la composizione della misteriosa coda di 3200 Phaethon, padre delle Geminidi, ma restano ancora questioni aperte
Chi, da bambina/o, non è mai andata/o a vedere le “stelle cadenti” in estate, in particolare la notte di San Lorenzo (il 10 agosto)? Nell’ingenuità infantile, ignorare che non si tratti affatto di stelle contribuiva solo ad aumentare la meraviglia e il divertimento, magari in spiaggia attorno a un falò.
Crescendo si viene poi a sapere che in realtà è uno sciame meteorico, cioè tante piccole meteore (quelle estive sono chiamate Perseidi), che attraversano l’atmosfera terrestre, bruciando e producendo il classico effetto visivo che preserva il suo fascino anche da adulti.
Ciò che forse è meno noto è il fatto che la fonte degli sciami meteorici è quasi sempre una cometa: poiché esse sono composte di un misto di roccia e ghiaccio, quando si avvicinano al Sole una parte di tale ghiaccio viene vaporizzata, sottraendo materiale alla loro superficie e generando una coda lungo la loro orbita.
3200 Phaethon (d’ora in poi semplicemente Phaethon) non è però uno che presta molta attenzione alle statistiche: responsabile dello sciame autunnale delle Geminidi, non solo è un asteroide e non una cometa, ma la sua coda non è neanche composta di materiale polveroso, come ci si aspetterebbe da un esemplare della sua specie.
Phaethon, padre delle Geminidi
Scoperto nel 1983 dagli astronomi Simon F. Green e John K. Davies, Phaethon è stato rapidamente associato alle Geminidi, risolvendo un mistero secolare, in quanto la sua orbita coincide con quella dello sciame, come ci ricorda Vanessa Thomas sul sito della NASA.
Certo, il fatto che si tratti di un asteroide e non di una cometa è, come detto, insolito, ma un’ulteriore conferma della suddetta associazione venne nel 2009, quando il Solar Terrestrial Relations Observatory (STEREO) della NASA rilevò per la prima volta una piccola coda che si estendeva da Phaethon al raggiungimento del perielio (cioè, il punto più vicino al Sole) lungo la sua orbita di 524 giorni.
Come mai c’è voluto più di un quarto di secolo per scoprirla? Beh, i normali telescopi fanno fatica a osservare oggetti molto vicini a fonti estremamente luminose come il Sole, quindi fu necessario attendere l’avvento di un osservatorio solare come STEREO (lanciato nell’ottobre del 2006) per individuare la coda di Phaethon.
Coda che naturalmente si pensò dipendere dalla fuga di polvere cosmica dalla superficie dell’asteroide, causata dall’intenso riscaldamento solare. Questo almeno fino al 2018, quando ulteriori osservazioni effettuate stavolta dalla Parker Solar Probe (PSP), sempre della NASA, trovarono ad attenderle una bella sorpresa.
Una coda fatta di sodio?
PSP si concentrò su una parte della scia di detriti delle Geminidi, scoprendo che essa conteneva molto più materiale di quanto potesse essere espulso da Phaethon in occasione dei suoi incontri ravvicinati col Sole.
Nel tentativo di risolvere il mistero, un gruppo di ricercatori guidato da Joseph R. Masiero del California Institute of Technology (Caltech) ipotizzò che l’ondata di calore subita dal povero asteroide in quelle circostanze potesse portare alla vaporizzazione del sodio in esso contenuto, facendogli esibire una luminosità e un comportamento assimilabili a quelli di una cometa.
Lo studio, pubblicato nell'ottobre del 2021 su The Planetary Science Journal, si basò su modelli matematici e test di laboratorio effettuati portando ad altissime temperature frammenti del meteorite Allende, caduto in Messico nel 1969 e ritenuto di composizione simile a quella di Phaethon, ed ebbe risultati promettenti: il sodio veniva effettivamente rilasciato, mentre gli altri elementi restavano intatti.
Non restava ora che effettuare la prova definitiva: osservare direttamente Phaethon in occasione del suo prossimo perielio. Per farlo, non sarebbe stato necessario attendere troppo, visto che esso cadeva giusto l’anno successivo.
Conferme e ulteriori misteri
Con un avvicendamento sempre in casa Caltech, la direzione della ricerca passò al dottorando Qicheng Zhang, usando stavolta osservazioni compiute dalla sonda Solar and Heliospheric Observatory (SOHO), una missione congiunta NASA-ESA, che possiede filtri di colore in grado di rilevare sia il sodio che la polvere.
Come sperato, la coda di Phaethon si mostrò luminosa nel primo e assente nel secondo; per di più, la sua forma e il modo in cui si illuminò al passaggio in prossimità del Sole si rivelarono perfettamente compatibili con la presenza di sodio, ma non di polvere.
Tutto risolto con lo studio pubblicato nell’aprile di quest’anno sempre su The Planetary Science Journal, quindi? Beh, a dirla tutta una questione resta ancora aperta: se Phaethon non rilascia molta polvere cosmica durante il perielio, come fa a formare lo sciame delle Geminidi (in arrivo il prossimo 14 dicembre, tra l’altro)?
Il gruppo di Zhang sospetta che sia “colpa” di un evento destabilizzante avvenuto qualche migliaio di anni fa, che avrebbe prodotto le miliardi di tonnellate di materiale che compongono le Geminidi. Forse una parte dell’asteroide si frantumò a causa della pressione rotazionale, ma al momento non si hanno certezze in merito.
Certezze che potrebbero però arrivare a breve, grazie alla missione della JAXA DESTINY+ (acronimo di, fate un bel respiro, Demonstration and Experiment of Space Technology for INterplanetary voYage with Phaethon fLyby and dUst Science).
Attesa per il lancio nel 2025, la sonda volerà oltre Phaethon e fotograferà la sua superficie rocciosa, in modo da studiare l’eventuale polvere cosmica presente intorno al misterioso asteroide che si crede una cometa.