Effetto quantistico mette in discussione il ruolo dell'amiloide nell'Alzheimer
Uno studio recente prevede che la superradianza renda le fibrille di amiloide utili nella prevenzione dell'Alzheimer e della demenza in generale
Malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e altre che causano demenza sono una delle piaghe che affliggono l’umanità: dall’origine incerta, attualmente incurabili, provocano un lento ma inesorabile declino, doloroso sia per le persone affette che per i loro familiari.
Ad esse viene tradizionalmente associata la presenza nel cervello di accumuli di amiloide, una sostanza proteica fibrillare (cioè, composta da piccole fibre), che quindi viene spesso bersagliata dalle cure sperimentali, solitamente sotto forma di medicine che puntano a ridurne la quantità o a prevenirne l’ulteriore formazione.
Però molti pazienti in cui vengono riscontrati grandi quantitativi di amiloide non sviluppano poi alcuna forma di demenza e, come detto, purtroppo finora tutte le terapie che si concentrano su di essa si sono rivelate inefficaci.
Ora un gruppo di ricercatori americani ha fatto una scoperta potenzialmente rivoluzionaria, che potrebbe ribaltare completamente le carte in tavola: nelle fibrille di amiloide si verifica un effetto quantistico in grado di prevenire l’insorgere dell’Alzheimer.
Stress ossidativo e superradianza
Lo stress ossidativo è uno squilibrio corporeo tra radicali liberi (cioè, atomi o molecole con almeno un elettrone spaiato, di cui ho già parlato a proposito di tardigradi e pettirossi) e antiossidanti che li contrastano, il quale provoca l’emissione di fotoni (cioè, particelle di luce) ad alta energia e precisamente nella banda dell’ultravioletto (UV).
Come immaginabile, tali fotoni UV sono dannosi per l’organismo e quindi all’aumentare dello stress ossidativo aumenta anche il logorio cumulativo del corpo, detto carico allostatico, che è uno dei fattori di rischio per l’Alzheimer e la demenza in generale.
Fortunatamente possiamo contare su un alleato prezioso nella lotta contro lo stress ossidativo: la meccanica quantistica. Esiste infatti un effetto quantistico, detto superradianza del singolo fotone, che potrebbe essere in grado di mitigarlo.
Si tratta in sostanza di un fenomeno nel quale una rete collettiva di molecole assorbe queste particelle di luce ad alta energia, per poi riemetterle ad un livello energetico più basso (la cosiddetta fotoprotezione) e quindi più sicuro per l’organismo.

Fibrille di amiloide e triptofano
Ora, qualche mese fa un gruppo di ricerca diretto da Philip Kurian, direttore del Laboratorio di Biologia Quantistica presso l’Università di Howard (Washington), aveva scoperto che tale effetto è in grado di “sopravvivere” anche all’interno del turbolento ambiente rappresentato dal corpo umano, tendenzialmente ostile ai fenomeni quantistici (che solitamente richiedono sistemi stabili e basse temperature).
In particolare, la superradianza del singolo fotone è stata verificata, seppur in maniera modesta, nelle reti del triptofano, un amminoacido e quindi uno dei costituenti fondamentali per proteine e strutture a base di proteine.
Ma c’è di più: uno studio ancora più recente, sempre coordinato da Kurian, prevede che tale fenomeno quantistico sia invece estremamente efficace (fino a cinque volte più della media) proprio nelle fibrille di amiloide di cui sopra, in virtù della loro altissima densità di triptofani, ordinati in eliche multiple.
Ciò suggerirebbe che l’amiloide, invece di essere una delle cause dell’Alzheimer, è in realtà la risposta dell’organismo a un eccesso di fotoni nella banda dell’ultravioletto, derivanti dalla sproporzione di radicali liberi.
Il prossimo passo sarà ovviamente quello di validare in maniera sperimentale tale previsione, che se confermata “minaccia” di rivoluzionare il trattamento di Alzheimer e demenza in generale, che si spera possano dimostrarsi non più incurabili.