I tardigradi sono praticamente indistruttibili e ora sappiamo perché
Un recente studio dimostra che i radicali liberi segnalano alle creature di attivare il meccanismo difensivo della criptobiosi
I tardigradi (letteralmente “lenti camminatori”) possono essere considerati una sorta di supereroi del mondo microscopico (gli esemplari più grandi non superano gli 1,5mm): pur non potendo competere con Flash in quanto a velocità, la loro resistenza fisica non ha nulla da invidiare a La Cosa.
Affettuosamente soprannominati “orsi acquatici” o “maialini del muschio” per il loro aspetto, modo di camminare e ambiente naturale, essi sono in grado di sopravvivere alle condizioni più estreme, come il vuoto dello spazio o temperature prossime allo zero assoluto.
Di conseguenza, è da tempo che gli scienziati cercano di capire come fanno i tardigradi a essere praticamente indistruttibili (il che, tra le altre cose, li rende candidati ideali per futuri viaggi interstellari), ma finora senza troppo successo.
Recentemente, però, è stato pubblicato su PLOS ONE uno studio che descrive la scoperta di uno dei meccanismi fondamentali alla base della loro resistenza: una sorta di “interruttore” molecolare che attiva una temporanea robustezza.
Tardigradi e radicali liberi
All’interno di un atomo esistono vari orbitali (ne ho parlato qui), ognuno dei quali è in grado di ospitare una coppia di elettroni con spin opposti; nel caso in cui in almeno un orbitale ci sia un solo elettrone spaiato, l’atomo viene detto radicale (libero).
Come prevedibile, tale situazione instabile fa sì che esso tenda a reagire con l’ambiente circostante, allo scopo di “catturare” elettroni per raggiungere l’agognata stabilità, in un processo noto come ossidazione.
Così facendo, però, i radicali liberi danneggiano le cellule e composti quali il DNA o le proteine; ma in piccole quantità essi possono fungere da utile meccanismo di segnalazione.
“Che c’entra tutto ciò coi tardigradi?”, mi direte. Beh, come a volte capita in ambito scientifico, la ricerca di cui stiamo parlando ebbe inizio in maniera piuttosto casuale: Derrick Kolling, chimico presso la Marshall University e uno degli autori dello studio, decise impulsivamente di inserire un tardigrado in un macchinario in grado di rilevare radicali liberi.
L’esperimento ebbe esito positivo e quando Kolling lo comunicò alla collega Leslie Hicks, chimica della University of North Carolina e altra autrice dello studio, quest’ultima iniziò a chiedersi se tali atomi potessero giocare un ruolo nella straordinaria resistenza dei tardigradi.
Le ragioni alla base dell’ipotesi sono presto dette: se è vero che i radicali liberi sono prodotti all’interno delle cellule dai normali processi metabolici, essi vengono anche generati in risposta a elementi di stress ambientale, come fumo o altri inquinanti.
Criptobiosi, cisteina e i risultati degli esperimenti
Per mettere alla prova tale ipotesi, i ricercatori sottoposero i tardigradi a varie situazioni di stress, tra cui livelli elevati di sale, zucchero o perossido d’idrogeno (la comune acqua ossigenata), come riporta Meghan Bartels su Scientific American.
In tali situazioni, gli animaletti si appallottolano ed entrano in uno stato temporaneo di letargo detto criptobiosi. Dato che precedenti studi di Hicks mettevano in evidenza interazioni tra radicali liberi e cisteina (una componente chiave delle proteine), si pensò di verificare se ci fosse un collegamento con la criptobiosi.
A tale scopo, i ricercatori esposero i tardigradi a vari tipi di molecole note per la loro capacità di bloccare l’ossidazione della cisteina, impedendo quindi la stabilizzazione dei radicali liberi prodotti in condizioni di stress.
Et voilà, in tali casi si vide che i poveretti non riuscivano a indurre il meccanismo protettivo della criptobiosi. Ma niente paura: i tenaci orsi acquatici hanno a disposizione anche altre armi difensive.
Il passo successivo nella ricerca sarà quindi studiare queste altre tecniche di sopravvivenza, oltre a condurre esperimenti anche su diverse specie di tardigradi (per il momento, infatti, i ricercatori si sono limitati all’Hypsibius exemplaris).
Progressi in merito saranno verosimilmente utili anche in altri settori di ricerca, come quello dell’invecchiamento o del viaggio nello spazio, dove è risaputo che l’azione dei radicali liberi è in grado di danneggiare DNA e proteine.