Il testamento dei batteri a beneficio dei propri simili
Un gruppo di ricerca internazionale dimostra per la prima volta il meccanismo del riciclo di nutrienti post-mortem da parte di E. coli
Il ciclo dell’acqua e del carbonio, il compostaggio di residui di potatura o scarti di cucina: sono solo alcuni dei più noti tra i ricicli di nutrienti in natura che sostengono e contribuiscono al benessere della società umana.
Nel loro piccolo, anche i batteri partecipano a questi processi: all’atto della morte, i loro corpi si rompono, causando la fuoriuscita di una serie di nutrienti che vengono utilizzati dai microbi ancora in vita, che provvedono a loro volta a continuare il ciclo quando muoiono.
Eppure i batteri non sono in grado di ingerire grosse molecole come le proteine rilasciate dai “cari estinti”, quindi c’è bisogno di un meccanismo che le scomponga in pezzi più piccoli, quali amminoacidi o al più peptidi (cioè, piccole catene di amminoacidi).
È ragionevole pensare che tale meccanismo venga attivato dai batteri che ricevono i nutrienti, ma un gruppo di ricerca internazionale ha invece di recente confermato che il merito è da attribuire ai microbi defunti, che nel loro “testamento” lasciano un’importante eredità ai propri simili.
Le proteasi dell’E. coli
Escherichia coli (d’ora in poi semplicemente E. coli) è probabilmente la star delle colture di microbi in laboratorio, essendo manipolabile in maniera semplice ed economica: un ottimo punto di partenza per il biochimico Martin Cann e colleghi.
Per cominciare, i ricercatori analizzano gli effetti di materiale derivante da cellule di E. coli morti, i cosiddetti lisati, su batteri vivi, notando una crescita accelerata di questi ultimi rispetto al gruppo di controllo, rifornito invece di semplice acqua.
Ovviamente anche per E. coli vale il discorso fatto in generale per i batteri: serve un meccanismo per scomporre le proteine emesse dalle cellule morte, che nello specifico viene facilitato da un particolare enzima detto proteasi.
Per capire se tale enzima provenga da cellule vive o morte, il gruppo crea due ceppi di E. coli, ognuno dei quali senza una di due proteasi, Lon e OmpT, potenzialmente implicate nel riciclo di nutrienti, e distribuisce le loro “spoglie mortali” a cellule vive.
Lon sì, Lon no
I lisati della coltura priva di Lon non hanno alcun effetto positivo sulle riceventi, suggerendo quindi che tale enzima sia la chiave del processo di scomposizione delle proteine.
Un’ulteriore conferma viene da un test inverso, in cui Cann e colleghi danno in pasto i resti di E. coli non modificati a batteri viventi privi di Lon: questi ultimi mostrano comunque una crescita accelerata in seguito all’operazione, indicando come tale proteasi abbia solo un effetto post-mortem.
A questo punto è lecito chiedersi quale sia l’utilità del “sistema Lon” per gli E. coli in vita. È noto che tale enzima aiuti nella distruzione di proteine non ripiegate prodotte in condizioni di stress, che sono non solo inattive, ma possono essere anche dannose.
Difatti, sottoponendo a shock termico E. coli sia normali che privi di Lon, i primi crescono meglio. Ma il prezzo da pagare per questo limitato beneficio sembra decisamente alto.
Il prezzo della selezione parentale
I ricercatori verificano che la presenza di Lon nei batteri determina una crescita più lenta rispetto a quelli che ne sono privi; per di più, facendo crescere assieme i due ceppi, quello senza l’enzima inizia a riprodursi molto rapidamente, pur partendo da numeri decisamente più bassi: un chiaro segno di sfruttamento dell’altro ceppo.
Com'è possibile quindi che gli E. coli si siano naturalmente evoluti con la capacità di produrre Lon, quando i costi sono decisamente maggiori dei benefici? La soluzione all’enigma è sorprendente: si tratterebbe di un caso di selezione parentale, uno schema evolutivo in base al quale determinati tratti vengono favoriti se portano dei vantaggi sociali per la specie, nonostante gli svantaggi individuali.
Sebbene siano stati i primi a portare prove sperimentali del riciclo di nutrienti tramite proteasi, Cann e colleghi non si dicono ancora soddisfatti: il prossimo passo sarà verificare la generalità del meccanismo, studiando altri batteri e altri enzimi.
In aggiunta all’aspetto teorico, ci sono infatti anche obbiettivi pratici, come quello di migliorare le prestazioni di bioreattori industriali, in cui si producono artificialmente proteine a partire da organismi viventi o sostanze chimiche da essi generate.