Il variegato e affascinante mondo dei crateri nel Sistema Solare
Non tutti i crateri sono circolari come si potrebbe pensare: in giro per il Sistema Solare se ne trovano alcuni dalle forme particolari e intriganti
I crateri da impatto sono molto numerosi nel Sistema Solare e ci riportano a un tempo remoto in cui esso era vittima del caos più assoluto, come è chiaramente visibile anche a occhio nudo osservando la faccia butterata della Luna.
Iconico, in tal senso, è anche il cortometraggio classico del cinema muto “Le Voyage dans la Lune” (1902) di Georges Méliès, in cui il visionario regista francese immagina un antesignano sbarco dell’uomo sul nostro satellite, a bordo di un razzo a forma di proiettile…che causa l’ennesimo cratere sulla povera Luna.
Marte è un’altra vittima predestinata di violenti impatti di asteroidi e comete, sebbene in questo caso per osservarli serva un telescopio o, ancora meglio, una sonda in orbita con una potente fotocamera, come la Mars Reconnaissance Orbiter con la sua HIRISE.
E non dimentichiamoci di Mercurio, delle lune di altri pianeti e della nostra Terra dove, nonostante l’attività geologica abbia portato all’erosione, sepoltura o trasformazione della maggior parte dei crateri da impatto, alcune notevoli eccezioni sono visibili ancora oggi.
Non tutti i crateri, però, sono uguali: di seguito ne esamineremo alcuni dalla forme particolari o semplicemente molto famosi.
Marte e le sue numerose cicatrici
Marte si trova in una posizione piuttosto sfavorevole per chi è in cerca di una vita tranquilla, vicino com’è alla fascia principale, ricca di asteroidi che l’hanno colpito ripetutamente a diverse velocità e angolazioni.
Questo, unito alla presenza in passato di acqua o ghiaccio sotto la superficie del pianeta rosso, ha fatto sì che esso brulichi di crateri piuttosto bizzarri: da quelli ricoperti da dune a quelli la cui forma è causata dalla sublimazione del ghiaccio, e non mancano nemmeno crateri doppi.
Di seguito potete vedere delle immagini di alcuni tra i più affascinanti, selezionate da Evan Gough su Universe Today, con una breve descrizione nella relativa didascalia.
L’Uccello del Tuono marziano
Merita un paragrafo a parte il cratere fotografato nel 2013 da HIRISE e che di recente è stato scelto come Foto del Giorno dal Lunar & Planetary Laboratory dell’Università dell’Arizona.
Come si può vedere dall’immagine sopra, la forma di tale cratere ricorda quella dell’Uccello del Tuono (Thunderbird, in inglese), gigantesco rapace presente nella mitologia e nel folklore di diverse tribù di nativi americani.
Il cratere, ampio circa cinque chilometri e situato nei pressi del più grande (ma meno caratteristico) Cratere Schiaparelli, è stato verosimilmente provocato dall’impatto ad un certo angolo di un asteroide o una cometa.
Il materiale espulso da tale impatto si è per la maggior parte ammucchiato a formare un basso altopiano (la “testa” dell’uccello), visibile nella parte alta dell’immagine; la restante parte, invece, è stata erosa dal vento nel corso delle ere.
L’aspetto più caratteristico riguarda, però, i resti dell’oggetto impattante, che si sono sparpagliati a formare quelli che possono essere visti come il corpo e le ali dell’uccello.
Apollodorus, il cratere ragno di Mercurio
Spostiamoci ora su Mercurio, per esaminare un tipo di cratere che ha fatto impazzire gli scienziati che, per capirne la genesi, cercavano di replicarne la formazione in laboratorio… senza successo.
Quello che vedete nell’immagine è Apollodorus, i cui canali scuri che si irradiano dal centro gli sono valsi il soprannome “the Spider” (il Ragno), in seguito comunemente utilizzato per riferirsi a questo tipo di crateri da impatto.
Al netto dei canali, si tratta di un cratere di circa 40 chilometri di diametro, curiosamente impossibile da riprodurre usando i metodi di simulazione standard di impatto di asteroidi, illustrati in questo video della Johns Hopkins University.
Dopo numerosi tentativi, si scoprì infine che il problema nasceva dalla preparazione del sito d’impatto, che veniva lisciato prima degli esperimenti per ragioni di semplicità; lasciandolo invece “disordinato”, la simulazione funzionava perfettamente.
Anche per questo si pensa che la formazione delle parti più lisce delle pareti di Apollodorus possa essere stata influenzata dalla presenza di canali preesistenti, mentre altri si sarebbero formati in seguito all’impatto.
Catene di crateri satellitari
A volte i crateri si comportano come le ciliegie: uno tira l’altro. È così che si formano le cosiddette catene di crateri, in cui le cavità sono allineate tra di loro, come appunto gli anelli di una catena.
Più comuni di quanto ci si potrebbe aspettare, le catene di crateri si formano solitamente quando una cometa o asteroide viene fatto a pezzi dalle forze mareali generate dal campo gravitazionale del corpo impattato, che “stiracchiano” il corpo impattante fino a disgregarlo.
I vari pezzi, seguendo più o meno la stessa orbita, colpiscono quindi la superficie del corpo celeste in linea pressoché retta, generando catene a volte spettacolari come quella qui sotto.
Lunga 161,3 km e composta da ben 13 crateri, Enki Catena è forse la più famosa catena di crateri del Sistema Solare e si è formata sulla luna gioviana Ganimede, probabilmente a causa dell’impatto multiplo di una cometa, fatta a pezzi dall’enorme forza gravitazionale del gigante gassoso.
E restando in tema di satelliti, anche la nostra Luna presenta catene di crateri, ma con una formazione peculiare: spesso, infatti, tali catene si irradiano a partire da un cratere principale e sono provocate da impatti secondari da parte del materiale espulso da quest’ultimo a seguito dell’impatto principale.
Le drammatiche collisioni subite dalla Terra
E arriviamo così finalmente alla Terra, di cui vale la pena menzionare almeno un cratere da impatto, anzi… uno e mezzo: quello di Chicxulub e il lago di Tunguska.
Il cratere da impatto Chicxulub, famoso (o sarebbe meglio dire famigerato) per aver provocato l’estinzione dei dinosauri nel Cretaceo-Paleogene (65 milioni di anni fa), è stato creato da un oggetto impattante ad angolo basso.
Quest’ultima considerazione non è puramente accademica: un impatto dalla forte inclinazione provoca, infatti, un’espulsione di materiale pressoché simmetrica e rilascia più gas in grado di alterare le condizioni climatiche, rispetto a impatti molto superficiali o (quasi) perpendicolari.
Catastrofico fu anche l’evento di Tunguska del 1908. Si tratta di una fortissima esplosione (circa 12 megaton di potenza) avvenuta nei pressi del fiume Podkamennaya Tungusk in Siberia e causata molto probabilmente dall’ingresso di un asteroide di 50-60 metri nell’atmosfera terrestre.
Si stima che l’esplosione provocò la distruzione di 80 milioni di alberi in un’area semi-disabitata di 2150 km quadrati, per fortuna con poche vittime civili (forse tre).
Ne parlo qui perché, sebbene il corpo celeste esplose a mezz’aria, in uno studio del 2007 alcuni scienziati dell’Università di Bologna sostengono che un frammento di circa 10 metri sopravvisse all’esplosione, impattando il suolo e creando il lago Cheko.
Quale che sia la verità, nonostante il Sistema Solare oggigiorno sia molto più pacifico che agli albori, ci saranno sempre asteroidi e comete pronte a colpirne i pianeti e le lune, senza dimenticare purtroppo i detriti abbandonati dall’uomo nello spazio.
Di conseguenza, possiamo aspettarci altre affascinanti immagini di crateri in futuro, sperando che non siano catastrofiche come quelle menzionate sopra e senza dover ricorrere al genio visionario di registi come Méliès.