Un nuovo metodo scopre esopianeti dal loro "odore"
Scienziati americani mettono a punto un sistema per scovare e studiare l'evoluzione di protopianeti, per meglio associarli a quelli "adulti"
Individuare esopianeti, cioè pianeti al di fuori del sistema solare, non è cosa facile.
Il motivo è presto detto: le enormi distanze che ci separano da loro fanno sì che anche i nostri migliori telescopi non possano catturare immagini più grandi di un puntino.
E anche questo è estremamente difficile, dato che la luce della stella (o delle stelle) nel sistema è immensamente più forte di quella emessa dal pianeta, che quindi ne viene molto spesso oscurato.
Ecco perché, come vedremo a breve, la maggior parte dei 5000+ esopianeti confermati finora è stata scoperta usando metodi indiretti.
Ma l’esiguo numero di rilevamenti, rispetto a quello delle stelle presenti nell’universo, fa subito capire come anche tali metodi non siano ideali.
In particolare, funzionano ancora meno quando si tratta di protopianeti, cioè pianeti in via di formazione, che sono nascosti anche dal disco di polveri e gas in cui si stanno generando.
Di recente, però, un gruppo di ricercatori americani sembra aver scoperto un nuovo, promettente metodo per scovare questi pianeti in divenire.
I metodi principali per rintracciare esopianeti
A parte il rilevamento diretto, ci sono tre modi principali per scoprire esopianeti:
il metodo del transito;
il metodo delle velocità radiali;
l’effetto di microlente gravitazionale.
Il metodo del transito sfrutta il fatto che, quando un pianeta transita di fronte alla sua stella, la luminosità di quest’ultima viene in piccola parte adombrata.
Pur essendo finora il metodo di maggior successo, con oltre 4000 pianeti rilevati, richiede comunque che l’orbita del pianeta lo porti a transitare in una zona di cui si ha visuale diretta dalla Terra.
Il metodo delle velocità radiali si basa sul fatto che anche la stella compie una piccola orbita attorno al centro di massa del sistema. Quando è presente un pianeta in orbita, la velocità (detta radiale) della stella subisce una piccola variazione, tradendo la presenza del pianeta stesso.
Secondo per importanza, con oltre 1000 esopianeti scoperti, tale metodo richiede stelle molto luminose, date le limitazioni tecniche dei telescopi attuali.
Infine, l’effetto di microlente gravitazionale si verifica quando il campo gravitazionale di una stella “in primo piano” agisce come se fosse una lente di ingrandimento nei confronti di oggetti più lontani.
Se la stella usata come lente ha attorno a sé un pianeta, quest’ultimo produce delle piccole anomalie nell’ingrandimento.
A differenza degli altri metodi, l’effetto di microlente consente di rilevare più facilmente pianeti con un’orbita ampia.
Come “fiutare” protopianeti
Come riporta Carolyn Collins Petersen su Universe Today, un gruppo di scienziati del Center for Astrophysics | Harvard & Smithsonian guidato dall’astronomo Charles Law si è chiesto se fosse possibile rilevare esopianeti, in particolari quelli in via di formazione, a partire dal loro “odore”.
L’occasione perfetta si è presentata grazie alla recente scoperta di un protopianeta simile a Giove nel disco di polveri e gas intorno alla giovane stella HD 169142, situata nella costellazione del Sagittario.
In pratica, il gruppo di Law ha setacciato i dati precedentemente ricavati dall’insieme di radiotelescopi che costituiscono ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) in cerca di particolari “firme chimiche” collegate al protopianeta.
I risultati sono stati estremamente incoraggianti: oltre infatti a rilevare monossido di carbonio (nelle forme 12CO e 13CO) e monossido di zolfo (SO), che sono piuttosto comuni nei dischi protoplanetari, i ricercatori hanno trovato anche tracce del ben più raro monosolfuro di silicio (SiS).
La gestazione turbolenta di un pianeta
Per rilevare emissioni di SiS è necessario che granelli di polvere spaziale rilascino dei silicati (cioè, dei composti di silicone e ossigeno).
Perché ciò avvenga, tali granelli di polvere devono essere colpiti da potenti onde d’urto, create da gas che viaggia ad alta velocità.
Il responsabile ultimo di tali turbolenze? Apparentemente il protopianeta gigante coi suoi “vagiti”.
La scoperta è molto importante, non solo perché aggiunge un nuovo strumento per la ricerca di esopianeti difficili da scovare altrimenti, ma anche perché rappresenta un modo nuovo di esaminare l’evoluzione dei protopianeti.
Esistono, infatti, numerosi tipi di esopianeti, con firme chimiche diverse; osservando tali firme in esemplari in via di formazione, non potrà che migliorare la nostra comprensione di come essi si sviluppano e, in ultima analisi, la capacità di associare le loro proprietà a quelle dei pianeti già formati.