Ping Pong the Animation: ben più di un anime sportivo
Il capolavoro di Yuasa mette in mostra un'incredibile potenza narrativa, confezionata in un pacchetto tecnico tagliente e innovativo
Quelli della mia generazione sono cresciuti con anime (o, come li chiamavamo all’epoca, cartoni animati) sportivi quali Holly e Benji (Captain Tsubasa) o Mila e Shiro (Attacker You!), solo per citare due dei più popolari.
Si tratta di discreti prodotti d’intrattenimento, ma sicuramente non dei capolavori in quanto a sceneggiatura o caratterizzazione dei personaggi, pur volendoli vedere con gli occhiali rosa dei nostri ricordi d’infanzia.
Ciò ha contribuito a creare l’idea, purtroppo condivisa da molti, che gli anime siano “roba per bambini”, il che ovviamente è facile da smentire con un minimo di ricerca nel settore.
Devo però confessare che, almeno per quanto riguarda quelli sportivi, anch’io faccio fatica a trovare esempi luminosi che riescano ad elevare il genere da una diffusa mediocrità.
Per questo motivo, sono particolarmente felice quando mi capita di vedere anime come Ping Pong the Animation, che non solo fanno ampia giustizia alla categoria, ma riescono anche a trascenderla, dimostrando di essere delle opere d’arte tout court.
Focus sui personaggi
Basato sul quasi omonimo manga Ping Pong di Taiyō Matsumoto (1996-7), Ping Pong the Animation di Masaaki Yuasa (uscito molto più tardi, nel 2014) segue le vicende dei due studenti delle superiori e amici d’infanzia Makoto “Smile” Tsukimoto e Yutaka “Peco” Hoshino, mentre si fanno strada nel mondo del ping pong professionale.
Come spesso capita, i due non potrebbero essere più diversi: Smile è introverso, taciturno e per niente ambizioso, mentre Peco è chiassoso, esuberante e disposto a tutto pur di raggiungere la vetta.
Intorno ai due protagonisti ruotano una serie di personaggi, più o meno secondari, amici e/o rivali, le cui storie sono raccontate in maniera chiaramente meno approfondita, ma comunque con estrema attenzione.
Se a questo aggiungiamo l’ottima cura con cui vengono dipinti i due protagonisti, sia al tavolo da gioco che lontano da esso, si capisce subito che ci troviamo di fronte a un anime sportivo molto diverso dalla media.
In particolare, tutti i personaggi hanno i loro punti forti e le loro debolezze e questo mirabilmente non stona affatto col tema, centrale nell’opera, dell’esistenza degli eroi e della loro venerazione come invincibili.
Innovazione tecnica unita a solidità narrativa
Ma ancor prima di apprezzare le meraviglie della sceneggiatura, lo spettatore è messo subito di fronte a uno stile audiovisivo assolutamente peculiare e spiazzante.
La colonna sonora, per una volta davvero parte integrante dell’anime, passa con nonchalance dal punk forsennato della sigla iniziale alla ballata riflessiva di quella finale, con intermezzo industrial in cui il rumore della pallina contro la racchetta diventa ritmo che accompagna la melodia.
L’aspetto visivo è altrettanto, se non più, visionario: i disegni volutamente brutti e sgraziati, uniti alle animazioni fluide ed esagerate, creano un comparto video unico e potente, che non è mero esercizio di stile, ma si abbina perfettamente a quello audio e narrativo.
E, a proposito di narrazione, l’anime non si limita di certo a seguire i personaggi nelle loro vittorie e sconfitte, per quanto da esse risulti un’evidente crescita degli stessi: pur nel tempo piuttosto breve (appena 11 episodi) concesso dalla serie, vengono trattati temi importanti come il bullismo, la (mancanza di) fiducia in se stessi, i rimpianti, la responsabilità, il sacrificio e ovviamente l’amicizia, oltre al già citato “hero worship”.
Alla fine, come si può notare, non ho praticamente mai parlato di azione sportiva, chiaro segno che le battaglie al tavolo da ping pong, pur magistralmente inscenate, fungono più che altro da supporto e metafora per raccontare le storie dei vari personaggi, in un epico crescendo.
Piccoli difetti in una grande opera d’arte
Tutto perfetto, quindi? Beh, a voler proprio cercare il pelo nell’uovo, qualche difetto o perlomeno punto discutibile lo si trova pure, sia dal punto di vista tecnico che narrativo.
Innanzitutto, i disegni possono immediatamente scoraggiare lo spettatore, solitamente abituato a tratti precisi e aggraziati, pieni di colori sgargianti: niente di tutto questo in Ping Pong the Animation, che sfoggia con orgoglio uno stile minimale, quasi caricaturale, e dai colori smorti.
Inoltre, data la brevità dell’opera (che in pratica dura poco più di un moderno film di supereroi o un colossal del secolo scorso), non ci sono scene “inutili” per lo sviluppo della trama e dei personaggi: non che la narrazione sia pesante, tutt’altro, ma è necessario prestarvi costante attenzione (e in un caso il cambio di atteggiamento di uno dei personaggi è onestamente comprensibile solo uno/due episodi più tardi).
Infine, il finale brusco e un po’ beffardo può inizialmente lasciare spiazzati, sebbene a ben pensarci sia coerente con lo stile netto e nervoso dell’anime.
Quanto detto sopra ovviamente non inficia più di tanto un’opera incredibilmente innovativa e profonda, che mi sento di consigliare davvero a chiunque senza particolari riserve, in quanto si tratta di un capolavoro che trascende qualsiasi considerazione di genere preferito, sesso o età dello spettatore.
Ha! Per una volta mi ero portato il lavoro avanti, prima della tua recensione! Il design può spiazzare un po' all'inizio, hai ragione, ma la serie cresce sempre più andando avanti.
Non la considero un capolavoro, ma mi è piaciuto il fatto che non è la solita solfa giapponese del "se ti impegni puoi diventare il numero uno" che si trova in moltissimi anime sportivi. Qui i personaggi devono fare i conti con la realtà, la mancanza di talento, o avversari imbattibili, al punto da pensare a un cambio di carriera. Ho anche apprezzato l'omaggio giapponese ai giocatori cinesi (piuttosto raro), con "China" Wenge che inizialmente sembra comico, ma che alla fine si rivela un gran bel personaggio.